L’antenato del Pinot nero nell’antica Roma: ipotesi e ricerche
Ovvero I vitigni secondo Plinio (prima parte)
Il Pinot Nero o un suo antenato furono tra i vitigni che Plinio descrisse?
Gaio Plinio Secondo detto Plinio il vecchio nacque a Como nel 23 e morì a Stabiae, antica città romana nei pressi dell’attuale Castellammare di Stabia il 25 agosto del 79, durante la famosa eruzione del Vesuvio.
Plinio fu un naturalista, scienziato e ammiraglio romano, considerato a ragione anche il primo vulcanologo della storia, infatti morì per le esalazioni sulfuree mentre studiava da vicino l’eruzione del Vesuvio.
La sua principale opera fu la Naturalis Historia, enciclopedia della natura in 37 volumi.
Io ho studiato con attenzione soprattutto il libro XIV e il libro XV, in cui parla di vite, vino e ulivo.
Un testo formidabile e a tratti modernissimo, grazie all’acume delle sue osservazioni riusciamo ad avere una fotografia delle conoscenze agricole e non solo della Roma del primo secolo.
Qui sinteticamente cercherò di descrivere i vitigni che il grande naturalista del passato descrisse nella Naturalis Historia, tentando di intravedere, anche attraverso l’interpretazione di alcuni ampelografi moderni, i possibili antenati dei vitigni attuali.
Partiamo da quelli che Plinio riteneva più importanti.
Aminneis la famiglia delle Aminee, che secondo Plinio era il gruppo di vitigni in grado di dare vini di alta qualità, particolarmente longevi.
Le Aminee erano 5
– la germana minor (l’aminea ad acino piccolo) ha una miglior fioritura, sopporta le piogge e le intemperie e secondo molti ampelografi moderni potrebbe essere l’antenata dell’attuale Riesling.
-la germana maior che solitamente si arrampica sugli alberi
-la gemina minor che da acini doppi, vini aspri e corposi, non sopporta i venti provenienti da sud, coltivata principalmente alle pendici del Vesuvio
-la gemina maior sopporta meglio anche i venti meridionali
-la lanosa che si ricopre di lanugine, è la più precoce delle aminee e se non vendemmiata precocemente tende a marcire
Dalle Aminee oltre ai Riesling deriverebbero il Fiano, il Greco, la Falanghina e lo Chasselas.
La seconda famiglia di vitigni citata da Plinio è quella delle Nomentane, caratterizzate dal colore rossiccio del legno. Hanno una resa a mosto piuttosto bassa, bucce molto spesse e un’ottima resistenza alle gelate.
Soffrono più la siccità che l’acqua e più il caldo che il freddo, per questo eccellono nelle zone fredde e umide.
La varietà minor ha una migliore produttività e una foglia tondeggiante, la varietà maior ha la foglia frastagliata.
Le Apianae hanno foglie ricoperte da peluria, hanno un profumo molto forte e attirano le api. Ne esistono due varietà: una molto precoce e l’altra precoce. Si coltivano bene anche con climi freddi, ma tendono ad imputridire con la pioggia in eccesso. Coltivata in Etruria sembrerebbe essere l’antenata del Moscato e all’epoca erano considerate le uve più pregiate della regione.
La Graecula proveniente da Chio o da Taso aveva grappoli piccolissimi.
L’Eugenia coltivata soprattutto a Taormina, lontano da questo suo luogo di origine generava vini di scarsa qualità e dava il meglio di sé nei paesi caldi.
La Retica, coltivata nella zona di Verona, dava un vino con sapore simile alla pece, molto considerata nella zona di produzione, aveva una resa quantitativa molto elevata e dava vini scadenti altrove.
L’Allobroga preferiva climi freddi, i cui grappoli neri maturavano al gelo, aveva anch’essa rese generose.
Sia la Retica che l’Allobroga davano vini rossi che però schiarivano durante l’invecchiamento.
La Fecenia e la Biturgiaca (antenata degli odierni Cabernet), sebbene non rinomate per la qualità, grazie ai grappoli spargoli e al clima fresco, davano vini longevi, fioritura omogenea, grande resistenza alla pioggia e al gelo, esprimendosi meglio al freddo che al caldo e meglio su terreni umidi che su terreni secchi.
La Visulla, con grappoli più grandi che fitti, non sopportava gli sbalzi termici, ma resistente sia al caldo che al freddo, purché costanti, migliore la varietà a bacca piccola. Difficile la scelta dei suoli sui quali metterla a dimora, in quanto marciva su terreni grassi, ma non si sviluppava su terreni magri, pertanto bisognava individuare suoli medi e si esprimeva bene in Sabina. Aveva foglie molto grandi, che la proteggevano dalla grandine, ma bisognava coglierla appena matura, perché immediatamente dopo tendeva a cadere dalla vite.
Interessanti di certo erano le Helveolae, molto probabilmente antenate degli attuali Pinot.
Ne esistevano a frutto nero, rosso o bianco e tendevano a cambiare colore, ragion per cui venivano chiamate anche Varianae.
La varietà a bacca nera era la migliore e dava vini molto longevi, soprattutto quando dava meno grappoli.
Alcuni ampelografi sostengono che sia l’antenata del Pinot nero.
La Praecia era un vitigno chiamato così in quanto precoce, forse antenata del Primitivo, ne esistevano due varietà ben distinte per le dimensioni dell’acino. La vite aveva un tronco generoso e quella dagli acini piccoli dava vini adatti a lunghi invecchiamenti in giare di terracotta.
La Balisca veniva da Durazzo, ma i romani la esportarono in Spagna, dove gli spagnoli iniziarono a chiamarla Coccolobis. Grappoli spargoli e buona resistenza al caldo e ai venti meridionali, vini alcolici.
Due le varietà: una con l’acino allungato e l’altra con l’acino tondo. Vitigno a maturazione tardiva, generava un vino aspro nei primi anni, ma che trovava eleganza ed equilibrio nell’invecchiamento. Era considerato un vino adatto a curare le malattie della vescica.
La Albuelis era adatta ad arrampicarsi sugli alberi e dava frutti molto distanti da terra; spesso veniva piantata insieme alla Visulla che invece preferiva giacere ai piedi degli alberi.
L’Inerticula era un vitigno particolare, del suo vino rosso, meglio se invecchiato, non ci si ubriacava e Plinio la chiamava anche per questo uva “Sobria”.
Dell’Helvennaca esistevano due diverse specie: la maggiore, altrimenti chiamata lunga e la minore, altrimenti chiamata Marcus. La minore rendeva meno, ma dava vini migliori. Foglia tondeggiante e portamento della pianta di modeste dimensioni e legno poco robusto. Alcuni ampelografi sostengono che sia questa l’antenata del Pinot nero, ma prevalgono i sostenitori dell’Helveolae anche se il dibattito è tutt’altro che chiuso. Spesso veniva sorretta con l’ausilio di forconi, perché la buona resa in quantità avrebbe fatto rompere i tralci. Si giovava della brezza marina, ma detestava la guazza. Secondo Plinio non si era adattata bene al clima italiano e cresceva male, generando vini che non passavano l’estate.
La Spionia deve il suo nome agli acini, grandi come susine selvatiche che i romani chiamavano “spinus”. Di colore scuro allignava anche in zone calde e umide, non soffrendo le piogge autunnali, era tipica dell’agro ravennate.
Per oggi basta così, presto la seconda parte.