Ho già parlato del termine cru in un articolo pubblicato sul sito internet www.Frescobaldi.it e ora lo riprendo qui sul coppiere perché i lettori non sono sempre gli stessi.
Cru è una parola inflazionata nel mondo del vino, talmente abusata che da qualche decennio hanno iniziato ad utilizzarla anche nel mondo della birra, completando un’opera che di fatto ha interamente snaturato il termine e confuso le idee in maniera pressoché definitiva alla maggior parte del pubblico. Paradossalmente se cerchi la parola cru su google immagini trovi prima l’immagine di una birra che di un vigneto o di un vino. Definire cru o gran cru una birra di cui probabilmente neanche il produttore conosce con certezza la nazione di provenienza delle materie prime e non ho detto il comune o la località, significa che il termine cru oggi è volgarmente abusato.
Cerchiamo di restituirgli almeno un po’ della dignità che gli compete.
Secondo la Treccani per cru si intende: “terreno considerato dal punto di vista dei suoi prodotti e delle qualità che questi ne traggono”. In particolare, nel linguaggio enologico, zona delimitata produttrice esclusiva di un vino; in senso più ristretto, vigneto che fa parte di tale zona, capace di produrre vino di caratteristiche organolettiche particolarmente pregiate.
Come molte parole importanti che riguardano il vino anche cru è francese, la maggior parte dei critici sostiene che si tratti del participio passato del verbo croître (crescere) cioè crû.
A me comunque questa ipotesi non va a genio e ritengo che invece si tratti sempre di un participio passato, ma del verbo croire (credere) cioè cru.
A parte il fatto che cru participio passato di croire non ha l’accento circonflesso, ma questo potrebbe essere un dettaglio, quello che fa la differenza è il significato reale.
Cresciuto con un vigneto che genera grandi vini non c’entra quasi niente, crescono certamente anche i vigneti che producono vini mediocri.
Creduto invece, questo sì che è pertinente, creduto perché crediamo che sia il vigneto che ci darà un vino eccellente e comunque creduto perché è creduto, ha già dimostrato nel tempo la sua credibilità, generando vini di qualità eccelsa. Dopo la mia ipotesi sull’origine del termine, è tempo di passare al significato che questa parola acquisisce nel mondo del vino, che se nella sostanza è omogeneo, nei dettagli e nelle sfumature varia in maniera abbastanza rilevante da zona a zona.
Essendo una parola francese analizziamo il significato che effettivamente questo termine acquisisce nelle principali zone enologiche transalpine.
Le accezioni della parola CRU nelle zone enologiche transalpine
Bordeaux
A Bordeaux il concetto di cru è stato introdotto nel 1855, per classificare i migliori vini prodotti nella zona.
Per stilare la famosissima graduatoria si è utilizzato un metodo abbastanza razionale e moderno: si è preso quale riferimento il prezzo dei vini, cioè il prezzo che questi vini riuscivano a spuntare sul mercato e si sono stabiliti 5 livelli per i rossi e 3 livelli per i bianchi delle migliori 88 aziende (61 per i rossi e 27 per i bianchi) allora esistenti. Dunque a Bordeaux il titolo di cru venne attribuito ai produttori, alla marca o se vogliamo utilizzare un inglesismo, come si è soliti fare quando si parla di fenomeni economici, al “brand”.
Fu Napoleone III che scrisse all’unione dei “courtiers” della Borsa di Bordeaux una lettera datata 6 aprile 1855 in cui chiedeva l’invio di un elenco ben preciso e completo di tutti i vini rossi classificati per il loro valore ed anche per i vini bianchi.
La Borsa di Bordeaux con molta solerzia rispose il 18 aprile 1855 redigendo la classificazione in funzione della reputazione dei produttori e del prezzo della loro produzione sulla base di una tradizione di due secoli di classificazione informale.
I rossi come è noto erano tutti secchi, mentre i bianchi erano limitati alle varietà Sauternes e Barsac, vini botritizzati, dunque dolci.
La classificazione ha subito due sole modifiche in 159 anni: una appena dopo 5 mesi, a settembre 1855 Château Cantemerle è stato aggiunto come cinquième cru e nel 1973, Château Mouton Rothschild ha ottenuto il privilegio di i passare da deuxième à premier cru. Da allora, i vigneti hanno cambiato dimensioni, senza che questo abbia comportato variazioni o eventuali declassamenti.
Come è ben noto il “titolo” di Premier Grand Cru Classé venne attribuito a:
• Château Lafite-Rothschild, PAUILLAC
• Château Margaux, MARGAUX
• Château Latour, PAUILLAC
• Château Haut-Brion GRAVES fino al 1986 poi Pessac-Léognan
Come già detto ai 4 nel 1973 venne aggiunto:
• Château Mouton Rothschild – Pauillac
Tra i bianchi a un solo produttore venne attribuito il titolo di Premier cru supérieur:
• Château d’Yquem – Sauternes
Sempre nella regione di Bordeaux con un principio simile a quello del 1855 venne creato nel 1932 il primo elenco dei cosiddetti Cru Bourgeois, redatto dalla Camera di Commercio e la Camera dell’Agricoltura Bordeaux attraverso la selezione di 444 produttori che non erano stati individuati nella classificazione del 1855. Le parole Cru Bourgeois sono state ampiamente utilizzate sulle etichette dei vini di questa graduatoria che però non è mai stata considerata troppo dal mercato.
Una sostanziale revisione della classificazione, dividendola in tre livelli, è stata avviata nel 2000 e conclusa nel 2003.
Tale revisione ha ridotto a 247 il numero dei produttori recensiti.
Dopo diverse controversie legali, la classificazione Cru Bourgeois 2003 è stata annullata dalla corte francese nel 2007, e poco dopo tutto l’uso del termine è stato vietato.
Nel 2010, l’etichetta Cru Bourgeois è stata reintrodotta, ma con un’ulteriore revisione.
Seconda l’ultima approvazione la classificazione Cru Bourgeois consta di un solo livello, che viene assegnato ogni anno, come un marchio di qualità, ai vini, piuttosto che a castelli, sulla base di una valutazione sia dei metodi di produzione che del prodotto finito. Qualsiasi produttore nel Médoc potenzialmente può ottenere questo riconoscimento. La graduatoria viene pubblicata circa 2 anni dopo la vendemmia, quindi nel 2014 verrà resa nota la classificazione dei vini della vendemmia 2012.
L’ultima classificazione pubblicata è quella relativa al 2011 e riguarda 256 vini.
Per concludere la zona di Bordeaux bisogna prendere in esame anche i Cru Libournais, cioè i cru della cosiddetta rive droite.
Grand Cru Classé Saint-Emilion
Istituita per la prima volta nel 1954, questa classificazione è dedicata ai vini rossi della denominazione Saint-Emilion e si divide i 3 categorie:
■Premier Grand cru classé A
■Premier Grand cru classé B
■Grand cru classé
Questa classificazione è rivista ogni dieci anni.
Dopo l’ultima revisione del settembre 2012 i Premier Grand cru classé A non sono più solo 2 come è stato per 58 anni (Ausone e Cheval Blanc) ma si sono aggiunti anche Angelus e Pavie.
Sembra che i proprietari di Ausone e Cheval blanc non l’abbiano presa bene e siano partite le denunce. Sembrerebbe che i criteri utilizzati per la promozione non siano stati così “leciti”, dunque è proprio il caso di dire che tutto il mondo è paese.
Attualmente sono classificati 18 Premier Grand cru (4 A, 14 B) e 57 Grand Cru. Borgogna
I monaci vignaioli provenienti dalle abbazie di Citeaux, Cluny, Bèze e molte altre inventarono tra il 600 ed il 1100 i “grands crus” Clos de Bèze, Clos de Vougeot, Clos de Tart ecc. ed impiantarono vigneti nelle zone più adatte alla coltivazione della vigna.
Introdussero il concetto di “cru” utilizzato per definire i migliori appezzamenti e ne tracciarono i confini con dei muri, perimetri che sono rimasti gli stessi fino ad oggi.
In questo periodo si affermò l’identità del territorio, i vari vigneti furono classificati in modo naturale in funzione della qualità dei terreni e gran parte delle denominazioni sono rimaste invariate fino ai giorni nostri.
Già da allora appariva chiaro che una fascia intermedia, solo nei luoghi più vocati, era quella che dava le uve migliori, più in basso meno interessanti e più in alto altrettanto. Certamente quell’incredibile e irripetibile mix di parametri come: impasto dei suoli, altitudine, luce e tutti i parametri peculiari, risente anche di variazioni piccolissime per fare grandissime differenze.
Per questa ragione in Borgogna il cru è un vigneto che genera grandi vini, assolutamente rigido nel tempo, non cresce, non si allarga e può appartenere a più proprietari o essere frammentato, ma il cru è quel particolare vigneto e basta.
Il disciplinare, la produzione e la delimitazione dei vigneti e quindi anche dei cru di Borgogna è stato istituito il 29 aprile 1930 e depositato presso il Tribunale di Dijon. L’istituzione che vigila sulla produzione è l’ I.N.A.O. (Institut National des Appellations d’Origine). Per quanto riguarda i cru in Borgogna esistono 635 premier cru (in 28 diversi comuni pari a circa il 10% della produzione) e 33 grand cru (in 13 diversi comuni e pari a poco più dell’1% della produzione).
Champagne
In Champagne la scala dei cru serve per individuare le zone in cui si producono le uve più pregiate e si suddivide in 3 diverse categorie.
Queste categorie sono legate ai comuni, i comuni che nel tempo hanno dato uve di maggiore qualità vengono classificati Grand cru, sono 17 e occupano il 9% della superficie totale della Aoc.
Si trovano rispettivamente
■9 nella Montagna di Reims: Ambonnay; Beaumont-sur-Vesle; Bouzy, Louvois, Mailly, Puisieulx, Sillery, Verzenay e Verzy;
■6 nella La Côte des Blancs: Avize, Chouilly, Cramant, Le Mesnil-sur-Oger, Oger e Oiry;
■2 nella Valle della Marna: Ay e Tours-sur-Marne.
Poi vengono i premier cru che sono 44 comuni e occupano il 17% della superficie della Aoc:
Avenay, Bergères-les-Vertus, Bezannes, Billy le Grand, Bisseuil, Chamery, Champillon, Chigny les Roses, Chouilly (Pinot Noir), Coligny (Chardonnay), Cormontreuil, Coulommes la Montagne, Cuis, Cumières, Dizy, Ecueil, Etrechy (Chardonnay), Grauves, Hautvillers, Jouy les Reims, Les Mesneux, Ludes ; Mareuil sur Aÿ, Montbré, Mutigny, Pargny les Reims, Pierry, Rilly la Montagne, Sacy, Sermiers, Taissy, Tauxières, Tours-sur-Marne (Chardonnay), Trépail, Trois Puits, Vaudemanges, Vertus, Villedommange, Villeneuve Renneville, Villers Allerand, Villers Marmery, Villers Aux Noeuds, Voipreux, Vrigny.
I restanti 257 comuni sono cru generici.
Alsazia
La denominazione Alsazia nacque nel 1962, ma solo nel 1975 sono stati riconosciuti i Grand Cru che si distinguono in 51 località ben delimitate. Ciascuna caratterizza un “terroir” eccezionale che conferisce ai vini una forza espressiva e una peculiarità irripetibile.
Queste località sono state riconosciute nel 2011 con un aggiornamento legislativo come Denominazioni e beneficiano della tutela qualitativa voluta della DOP. Le AOC sono gestite in base a delle regole di produzione ferree e alcune località possono inoltre scegliere di tutelarsi in modo ancora più esaustivo (Zotzenberg, Altenberg de Bergheim, Kaefferkopf), orientandosi in questo modo verso una viticoltura ambiziosa e qualitativa. La superficie di questi vigneti d’eccezione varia tra i 3 e gli 80 ettari.
L’etichetta riporta obbligatoriamente l’annata, una delle 51 località che beneficiano della denominazione e l’indicazione del vitigno.
Tra i vitigni alsaziani sono ammessi, salvo eccezioni, il Riesling, il Gewurztraminer, il Pinot Gris e il Muscat. I Grands Crus d’Alsace rappresentano una produzione media annua pari a circa 45 000 hl, ossia solo il 4% della globalità dei vini d’Alsazia.
Valle della Loira
Finalmente il ciclo giudirico-legale s’è concluso il 26 febbraio e il Consiglio di Stato ha definitivamente reso valido il processo di gerarchizzazione delle denominazioni Quarts-de-Chaume e Coteaux-du-Layon.
C’è stato un certo sano rimescolamento, mirato a chiarire soprattutto all’uso sistematico dell’uva Pineau de la Loire (cioè Chenin blanc) nella versione botritizzata, con attenzione ad alcuni piccoli dettagli enologici come la crioselezione, che avrebbe potuto portare ad una standardizzazione del gusto dolce.
Adesso anche il Pineau de la Loire ha finalmente uno status giuridico e da quest’anno esiste un Grand cru anche nella Loira così denominato: Quarts-de-Chaume Grand Cru e un Premier Cru chiamato Coteaux-de-Layon Premier Cru Chaume
Côtes du Rhône
I “Cru” in questa regione il quarto livello, cioè il vertice della piramide qualitativa è rappresentato dai diciotto cru – 8 nel nord e 10 nel sud – rappresentano il top della produzione esprimendo le peculiarità di ciascun singolo ‘terroir’ ed esprimono meno del 20% della produzione del Rodano.
• Beaumes des Venise AOC
• Gigondas AOC
• Châteauneuf-du-Pape AOC
• Lirac AOC Lirac
• Tavel AOC
• Rasteau AOC (modificato nel 2009)
• Vacqueyras AOC
• Cornas AOC
• Condrieu AOC
• Château-Grillet AOC
• Côte-Rôtie AOC
• Crozes-Hermitage AOC
• Hermitage AOC
• Saint-Joseph AOC
• Saint Péray AOC
• Diois AOC
I CRU in Italia: significato e utilizzo
Dopo aver raccontato i principali utilizzi del termine cru in Francia possiamo venire all’Italia.
Qui in Italia l’utilizzo è più aleatorio, in quanto nessuna legge fino ad oggi regolamenta l’utilizzo di tale termine.
Esiste un’associazione che si chiama Comitato Grandi Cru d’Italia fondata nel 2005 da 39 produttori di prestigio italiani (tra i quali la Marchesi de’ Frescobaldi), ma si tratta di associazione spontanea tra produttori, alla quale si sono aggiunti via via molti altri produttori, ma ciò non consente l’utilizzo della parola cru in etichetta.
Inoltre esiste la classificazione dei Grand Cru d’Italia secondo una casa d’aste.La Classificazione riguarda le etichette di vino italiane più ricercate ed apprezzate da collezionisti ed investitori di tutto il mondo, classificate in base ai maggiori livelli di prezzo ed alla minore percentuale di lotti invenduti registrati dalla Gelardini & Romani Wine Auction.
Questo metodo di classificazione dei Grand Cru d’Italia ricalca quello utilizzato per la classificazione dei Grand Cru di Bordeaux, ovvero il livello di prezzo dei vini di riscontrabile sui mercati secondari. Si tratta di una classificazione fatta da una società privata, senza il controllo di un ente, ma non è priva di fondamento.
Prevede 5 fasce e viene periodicamente revisionata.
Oggi in totale classifica Grand Cru prevede 30 vini di cui 17 toscani (tra i quali anche il Brunello di Montalcino Castelgiocondo Riserva).
Comunque a prescindere da chi decida di utilizzare questo termine per fini promozionali il suo significato reale in Italia dovrebbe essere: vino prodotto con le uve di un vigneto che da tempo garantisce un livello qualitativo largamente superiore alla media.
Di fatto si tratta di un sistema di autocertificazione della qualità di un vino, non utilizzabile comunque in etichetta.
Alcuni produttori italiani, in carenza di una legge in grado di sopperire a questo limite, hanno provveduto a individuare vigneti ben delimitati che da decenni sono stati individuati come quelli in grado di produrre i vini più pregiati e con peculiarità marcate.
In particolare Marchesi de’ Frescobaldi, essendo la realtà che conosco meglio, ha individuato vigneti nelle diverse tenute che, a volte addirittura da più di cento anni, danno uve che vengono vinificate separatamente per produrre vini che vengono imbottigliati ed etichettati separatamente.
Nella Tenuta Castello di Pomino, per esempio, il Vigneto Benefizio, che si trova a oltre 700 metri di altitudine circondato da un’abetaia, già dalla fine del 1800 veniva vinificato separatamente per la straordinaria qualità del vino bianco che produceva, tanto da venire premiato a Vienna nel 1873 e a Parigi nel 1878.
Al Castello di Nipozzano il vigneto Mormoreto dopo decenni di ricerche e sperimentazioni è stato individuato all’inizio degli anni ‘80 e nel 1983 è stata prodotta la sua prima annata “ufficiale”.
Alla Tenuta di Castiglioni il vigneto Giramonte, dopo lunghi studi e ricerche condotte sui suoli e le risposte organolettiche dei vini prodotti è stato commercializzato per la prima volta nel 1999.
Alla Tenuta di Castel Giocondo a Montalcino è nel Vigneto Ripe al Convento che dagli anni ’80 si producono le uve in grado di dare il Brunello di Montalcino Riserva talmente complesso e longevo che appunto come descritto in precedenza, una casa d’aste lo ha inserito tra i Grand Cru d’Italia che sono appena 30 e solo 3 nella docg Brunello di Montalcino.
In Italia esiste in realtà la possibilità di indicare una particolare selezione o “vigneto” di provenienza e per la docg Barolo dal 2010 è possibile specificare in etichetta una delle 166 menzioni geografiche aggiuntive qualora se ne abbia il diritto. Anche se fuori dall’etichetta molti parlano di cru, sull’etichetta non è ammesso l’utilizzo di tale termine. Credo che in molte altre doc e docg sia in programma la realizzazione di una simile zonazione.
Mi domando se un giorno qualcuno in Italia riuscirà a far approvare una legge con la zonazione di una docg che preveda l’utilizzo del termine cru, che se viene usato nelle brossure, nelle presentazioni ecc.
Ci piace e ci interessa, dunque è bene iniziare a pensare di poter utilizzare questa breve parola anche in etichetta, intervenendo su una legislazione che è giustamente in continua evoluzione.
Bell’articolo, esauriente e istruttivo.
Domanda: e la Provence? Che io sappia anche lì esistono dei cru classé. Ce ne può accennare?
Grazie Mario, è vero la Provence spesso viene sottovalutata, anche da me, per via dell’immagine troppo legata ai rosé e in Italia i rosé sovente vengono visti come vini poco impegnativi. Comunque cercando di sintetizzare il concetto di cru classé in Provenza è approssimativamente sul tipo di Bordeaux. Nel 1895 un gruppo di viticultori della zona del Var si consorziarono per cercare di valorizzare la viticoltura locale. Nel 1947 l’INAO (institut National des Appellations d’Origine) identificò 23 “domaine” e nel 1955 ben 18 di questi vennero riconosciuti cru classé. Oggi sono 14 tra “domaines” e “chateaux” quelli che hanno costituito ufficialmente il “Club des Crus Classés des Côtes de Provence”. Il loro obiettivo comune è quello di affermare e trasmettere l’identità “Cru Classé” di Provenza. Château de Brégançon in Bormes-les-Mimosas , Clos Cibonne in Le Pradet , Château du Galoupet in La Londe-les-Maures , Domaine du Jas d’Esclans a La Motte , Château de Mauvanne a Hyères , Château Minuty in Gassin , Clos Mireille in La Londe-les-Maures, Domaine de Rimauresq in Pignans , Château de Roubine in Lorgues , Château Ste. Marguerite in La Londe-les-Maures, Château St. Maur in Cogolin , Château Ste. Roseline in Les Arcs , e Château de Selle in Taradeau. In Provence ci sono gli unici cru classé rosé a parte gli Champagne. Un’altra curiosità: a Cassis, centro interessante per i vini di Provenza, c’è un’azienda chiamata Clos d’Albizzi, i cui proprietari appartengono alla nobile famiglia fiorentina degli Albizzi, che si trasferirono lì nel 1400 e ivi introdussero il Moscato come attesta l’ampelografo Auguste Berengier nella Lettre de noblesse des vin de Cassis.
Fantastico! Grazie mille!
è vero, i rosé sono un po’ snobbati, devo dire non soltanto in Italia, ma un po’ in tutto il mondo. Onestamente anche io non vado pazzo per i rosati in generale, ma i provenzali sono un caso a parte, specialmente non disegni un buon Bandol.
Complimenti ancora una volta e grazie infinite per condividere la sua cultura con noi
P.S. “non disegni” è un errore di digitazione, volevo dire “non disdegno” 🙂
Grazie per i commenti, sono sempre nutrimento per chi scrive. Un po’ si scrive per il piacere di scrivere, ma molto per il piacere di sapere che c’è qualcuno che legge, ancora di più perché c’è qualcuno che legge attentamente e commenta.
Molto interessante,quindi il Comitato Gran Cru Italia é come la VDP in Germania salvo che non hanno l autorizzazione per mettere tale parola “cru” sulle bottigli giusto?In Germania, I migliori produttori hanno creato la VDP, e sui vini prodotti dai migliori erst lage ( o cru ) vengono messe le due G ( grosses gewashes ) e il grappolo d uva…
In Italia,e specialmente nelle zone Barolo e Barbaresco il termine Cru viene usato in maniera generale indicando un vino fatto con uve prodotto da un singolo vigneto, ma non necessariamemte da un grande vigneto..o sbaglio? Sarebbe bello avere una classificazione di questi cru in base alla qualita, ma da un altra parte poi si corre il rischio di avere gente che compra solo dai migliori cru, un po come succede nel Bordeaux, dove chi e ricco diventa piu ricco e quelli in fondo faticano a piazzare vini da 10/15 euro..
Anche se riflettendoci si sanno gia piu o meno quali sono I cru piu famosi,basta vedere le bottiglie che partono da 100 euro in su, quindi la classificazione forse non farebbe male a nessuno…tu come la vedi?
Ps ho assaggiato sia il brunello castelgiocondo che il merlot giramonte , fantastici, sopratutto il giramonte che se ricordo bene era un 2004…
Grazie del commento Daniele, il discorso sulla “zonazione” e sulla possibilità di usare più o meno a proposito o a proposito questo termine è vastissimo. Credo che oggi cercare di creare una scala dei diversi livelli dei “cru” presenti mote difficoltà. Pressioni da parte di persone più o meno influenti o potenti potrebbero creare solo scontento, dunque resta arbitro solo il mercato. L’importante è che la ricerca di un livello qualitativo sempre più alto sia sempre massima, senza stravolgere i carattere e l’essenza dei luoghi più vocati.